Il Dio che redime… gli Egiziani!

Considerando che la festività di Pesach è alle porte, e che milioni di Ebrei stanno per sedersi come ogni anno alla tavola del Seder per celebrare la liberazione dalla schiavitù in Egitto, il titolo di questo articolo potrebbe apparire più che mai una stramba provocazione.

Parlando così spesso della Redenzione di Israele, a Pesach come in tante altre occasioni, si corre il rischio di dimenticare che la Torah e i Profeti racchiudono una visione ben più ampia. Tra le pagine della Bibbia ebraica − quasi costantemente incentrate sulla storia del popolo d’Israele − esiste infatti una concezione universale della Redenzione che, sebbene talvolta sia poco percepibile, in alcuni casi risplende in modo straordinario.

Vogliamo allora promuovere una riscoperta di tale concezione universale proponendo un commento al capitolo 19 del libro di Isaia, uno dei brani che smentiscono in maniera particolarmente eclatante le convinzioni di chi immagina il Dio della Bibbia ebraica come una “divinità nazionale degli Ebrei”, e l’Ebraismo come un sistema religioso che esclude il genere umano nella sua collettività per favorire un’unica nazione eletta.

Isaia 19: il profeta parla all’Egitto

19:1Profezia sull’Egitto. Ecco, HaShem cavalca una nube leggera e viene in Egitto.

Già i Cananei, nei loro antichi miti, immaginavano le nuvole come “carri delle divinità celesti“. L’idea è rielaborata nella Bibbia, dove viene impiegata in contesti poetici per rappresentare la sovranità di Dio sulla Creazione (vedi Salmi 68:4).  Rashi e Ibn Ezra spiegano che la metafora indica la velocità con cui si compirà il giudizio qui preannunciato.

19:1b – Gli idoli d’Egitto barcollano davanti a Lui, e il cuore dell’Egitto viene meno dentro di lui.

Il linguaggio a cui Isaia ricorre per condannare l’Egitto rievoca la storia delle dieci piaghe nel Libro dell’Esodo: “In quella notte io passerò in tutta la terra d’Egitto, così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono HaShem” (Esodo 12:12).

“È consuetudine – commenta Rashi – spaventare qualcuno ricordando una disgrazia di cui egli ha già sofferto”. Per questo, il profeta si scaglia contro la nazione dei Faraoni preannunciando sventure simili a quelle che si erano verificate al tempo di Moshè. Nei versi successivi, l’eco delle antiche piaghe diviene ancora più chiaro: “Le acque del mare si prosciugheranno, il fiume inaridirà e seccherà. I fiumi diventeranno nauseabondi, i canali d’Egitto si svuoteranno e si seccheranno e le canne e i giunchi inaridiranno” (19:5-6).

19:2 – Inciterò Egiziani contro Egiziani, ognuno combatterà contro il proprio fratello, e ognuno contro il proprio vicino, città contro città, regno contro regno.

Il riferimento è verosimilmente alle tensioni che videro contrapposti l’Alto e il Basso Egitto all’epoca di Isaia, nonché alle rivolte che sconvolsero il paese nello stesso contesto.

19:3 – Lo spirito dell’Egitto verrà meno nel suo mezzo, e io distruggerò i suoi disegni; ed essi consulteranno gli idoli e gli incantatori, i medium e i maghi.

L’Egitto, terra rinomata per i suoi sapienti, la sua potenza militare e le sue arti occulte, è destinato alla rovina. Al tempo in cui visse Isaia, il popolo d’Israele guardava agli Egiziani con ammirazione, cercando il loro supporto per fronteggiare i nemici comuni. Il profeta si schiera contro questo atteggiamento ed esorta il popolo a confidare in Dio, non nei Faraoni: “Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di aiuto e fanno affidamento sui cavalli, confidano nei carri perché sono numerosi, e nei cavalieri perché molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano HaShem (Isaia 31:1).

19:4 – Consegnerò l’Egitto nelle mani di un duro padrone, e un re crudele lo dominerà, dice il Signore, HaShem delle schiere.

Un re crudele: come spiega Ibn Ezra, si tratta del re d’Assiria. La profezia può essere meglio compresa alla luce del capitolo successivo, in cui Isaia parla della sconfitta dell’Egitto ad opera dell’Assiria (vedi Isaia 20:4-6). Intorno al 700 a.e.v., il conflitto tra i due regni divenne inevitabile, finché gli Assiri non prevalsero in modo decisivo e l’Egitto perse per sempre il suo grande prestigio.

I versi che seguono aggiungono maggiori dettagli a questa profezia di sventura, parlando delle acque del Nilo che si prosciugano, della calamità che si abbatte su questa terra un tempo così rigogliosa (vv. 5-10), e dei consiglieri egizi che perdono la loro saggezza per diventare stolti e insensati (vv. 11-14).  “In quel giorno l’Egitto sarà come le donne [impaurite], e tremerà e sarà spaventato di fronte alla mano che HaShem delle schiere agiterà contro di lui”, minaccia ancora il profeta (v. 16).

19:17Il paese di Giuda sarà il terrore dell’Egitto: chiunque lo menzionerà avrà paura a motivo della decisione presa contro di lui da HaShem delle schiere.

Il piccolo regno dei Giudei – che confidava nell’aiuto dell’Egitto – sarà invece fortemente temuto proprio dagli Egiziani dopo la loro rovina. Ma com’è possibile?
Sembra che questo verso alluda alla miracolosa sconfitta degli Assiri al tempo del re Ezechia (2 Re 19): grazie all’intervento divino, Giuda riuscì a resistere all’invasione dello stesso impero che aveva invece sconfitto l’Egitto. In questo senso, Isaia dichiara che gli Egiziani avranno terrore dei Giudei. Del resto, ricordiamo che, secondo 2 Cronache 23:23, il re Ezechia “divenne famoso fra tutte le genti”.

A questo proposito, basandosi sul Seder Olam (23), Rashi riporta una tradizione secondo cui Ezechia liberò i prigionieri egizi che il re d’Assiria aveva portato con sé nel suo assedio di Gerusalemme. Questi allora tornarono in patria e si volsero all’adorazione del Dio d’Israele.

Il riscatto

19:18In quel giorno vi saranno nel paese d’Egitto cinque città che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per HaShem delle schiere. Una di esse si chiamerà “la città della distruzione”. 

“La lingua di Canaan” è l’ebraico. Il profeta afferma dunque che alcuni Egiziani parleranno la stessa lingua degli Ebrei. L’idea ci ricorda la promessa del profeta Sofonia: “Allora io darò ai popoli un linguaggio puro, affinché invochino tutti il nome di HaShem
e lo servano tutti di comune accordo” (3:9). Quella che era iniziata come una profezia molto aspra acquisisce ora inaspettatamente connotati messianici.

19:19 – In quel giorno, in mezzo al paese d’Egitto vi sarà un altare [consacrato] ad HaShem, e una stele per HaShem presso la sua frontiera. 

Nel II secolo a.e.v., il sommo sacerdote Onia IV costruì effettivamente un santuario in Egitto, nella città di Leontopoli, e cercò di dare legittimità al suo atto, secondo Giuseppe Flavio (Antiq. XII. 11:7), proprio citando questo verso di Isaia. Tale evento ha però ben poco a che fare con il messaggio di questa profezia e con il suo contesto originario, trattandosi di un tentativo di decentramento del culto da parte della comunità ebraica presente in Egitto, e non di una “conversione” degli Egiziani al Dio d’Israele.

19:20-21 – Sarà un segno e una testimonianza per HaShem delle schiere nel paese d’Egitto: se essi grideranno ad HaShem a motivo dei loro oppressori, egli manderà loro un salvatore e un potente che li libererà. HaShem si farà conoscere all’Egitto e gli Egiziani conosceranno HaShem in quel giorno, gli offriranno sacrifici e oblazioni di cibo, faranno voti ad HaShem e li adempiranno. 

Non solo il profeta accoglie gli Egiziani nel mondo del culto dell’Unico Dio, ma annuncia per loro anche una via di redenzione dai nemici. Le espressioni qui utilizzate richiamano in modo inequivocabile le promesse di liberazione dalla schiavitù rivolte agli Israeliti nel Libro dell’Esodo: “Ho visto l’afflizione del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a motivo dei suoi oppressori”, aveva detto Dio a Moshè (Esodo 3:7).

Ma se al tempo dell’Esodo era scritto che “Gli Egiziani sapranno che io sono HaShem quando dimostrerò la mia gloria contro il Faraone” (14:18), questa volta, invece, gli Egiziani potranno conoscere Dio sperimentando la redenzione, non più la distruzione: HaShem si farà conoscere all’Egitto e gli Egiziani conosceranno HaShem.

19:22 – HaShem colpirà gli Egiziani, li colpirà e li guarirà; essi ritorneranno ad HaShem, che darà ascolto alle loro preghiere e li guarirà. 

Così come Dio aveva colpito gli Egiziani, allo stesso modo li guarirà, se essi grideranno a Lui. Benché qui si parli di un popolo di idolatri e non degli Ebrei, l’atto di volgersi a Dio è comunque chiamato “ritornare” (shuv). L’uomo che abbandona gli idoli per guardare al Creatore compie sempre un “ritorno” verso le proprie origini, la propria natura, la verità primordiale.

19:23 – In quel giorno vi sarà una strada dall’Egitto all’Assiria: gli Assiri andranno in Egitto e gli Egiziani in Assiria, e gli Egiziani adoreranno con gli Assiri. 

Grandiosa e sorprendente immagine di pace e concordia fra due nazioni tra le quali, all’epoca di Isaia, esisteva odio e guerra.

19:24-25 – In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e con l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. HaShem delle schiere li benedirà, dicendo: «Benedetto sia l’Egitto, mio popolo, l’Assiria, opera delle mie mani, e Israele, mia eredità».

Crolla qui miseramente qualsiasi idea di presunto esclusivismo nella religione di Israele: ogni pretesa di superiorità innata (in senso discriminatorio) associata al concetto di “popolo eletto” non trova spazio in questa mirabile promessa. Nell’utopico futuro messianico qui descritto, Israele appare all’interno di una triade di popoli che portano la benedizione divina sulla terra.

L’Egitto è addirittura chiamato da Dio “mio popolo” (ammì), espressione che designa tipicamente la nazione ebraica. Non sorprende dunque che alcuni commentatori abbiano alterato o mitigato il messaggio di questo verso: è il caso del Targum e di Rashi che, forzando la frase, intendono il testo in questo modo: “Benedetto sia il mio popolo [che è] in Egitto”, cioè gli Ebrei dispersi fra gli Egizi. Ibn Ezra, al contrario, rispettando il senso autentico del verso, commenta: “Poiché essi edificano pubblicamente un altare per il Signore,  Egli li chiama ‘mio popolo'”.

2 commenti

  1. Caro Sguardo a Sion, non sono affatto d’accordo solo sulle tue conclusioni finali quando scrivi : qui crolla miseramente qualsiasi idea di presunto esclusivismo nella religione di Israele: ogni pretesa di superiorità innata (in senso discriminatorio) associata al concetto di “popolo eletto” non trova spazio in questa mirabile promessa. Nell’utopico futuro messianico qui descritto, Israele appare all’interno di una triade di popoli che portano la benedizione divina sulla terra.

    Invece io la vedo così…..
    I cc. 19-20 si suddividono in tre parti: la prima e l’ultima si riferiscono alla situazione storica del tempo di Isaia, quella centrale, invece costituita dai vv. 16-25 del c. 19, spinge lo sguardo verso un futuro lontano ma e non è detto che si tratti di un futuro messianico.
    La prima parte, in poesia, assomiglia, per stile e contenuto, a molte profezie autentiche di Isaia, mentre la terza ricorda altri resoconti in prosa sull’ attività del profeta come ad esempio, quelli del c. 7 scritta ad opera di un redattore della sua scuola e custode delle sue memorie. La sezione centrale invece, anch’essa in prosa, deve invece essere decisamente un’aggiunta assai più tardiva, e inserita qui da altri redattori anonimi finali del testo. Questa sezione centrale infatti, bisogna dirlo, è UNICA per l’universalità del contenuto in tutto il Tanàkh, il che fa già pensare… tant’è che una visione del messaggio così universalistico e pacifico non lo si trova più altrove.

    Comunque, il testo si compone in queste cinque affermazioni, tutte introdotte dalla clausola «in quel giorno», che allude a un tempo futuro, ma non meglio precisato, nel quale la storia assumerà una nuova configurazione, perché voluta e attuata da HaShem, nel «suo» giorno…
    Non è chiaro però, a mio parere leggendo il testo, se si pensi a una conversione di popolazioni egiziane al Dio d’Israele o se si voglia solo dire che esse onoreranno anche il vero Dio insieme alle loro divinità come del resto era molto comune e probabile all’epoca… In ogni caso gli Egiziani saranno trattati da Dio come gli Ebrei: verranno puniti e perdonati, colpiti e poi risanati. Anche la prima affermazione (16-17) non è nuova: Dio terrorizzerà gli Egiziani servendosi del potere che concederà al regno di Giuda. La seconda preannuncia che vi saranno in Egitto delle città (cinque però che può anche significare alcune) abitate in prevalenza da Ebrei.

    Il senso poi della quarta affermazione è incerta e dipende da come si traduce l’ultima frase. In ebraico esiste, infatti una particella per indicare il complemento oggetto, la quale si può scrivere in modo identico a una preposizione che significa «con». Nel nostro caso, se la si prende come indicativa dell’accusativo, si deve tradurre: «e gli Egiziani serviranno Assur»; se la si considera preposizione, si ha: «e gli Egiziani serviranno (sottinteso: HaShem) con Assur». Nel primo caso la profezia annuncerebbe la conquista assira dell’Egitto, nel secondo, la traduzione sembra più giusta perché più coerente con il crescendo positivo del testo.

    L’ultima affermazione supera ogni aspettativa. Israele sarà terzo con Egitto e Assiria, solo perché più piccolo, e sarà per loro fonte di divina benedizione. Ora rispetto ad altre rivelazioni che sognano una venuta dei popoli a Sion, per sottomettersi ad HaShem e offrirgli tributi, qui si evita ogni immagine di subordinazione, semplicemente perché si lascia immutata la realtà geografica e politica di allora, che non è più oggetto di guerre ma di pace visto gli scambi tra i due popoli diventati poi amici.

    Per questo la benedizione divina pronunciata nell’ultimo versetto del capitolo, vengono attribuite anche ai due imperi. All’Egitto si dà il titolo proprio di Israele «mio popolo», indicando che esso diviene il destinatario dell’impegno divino di amore e salvezza. Dell’Assiria si dice che Dio l’ha fatta esistere, come ha fatto esistere Israele: è infatti opera delle sue mani, e non delle antiche divinità mesopotamiche. Ma non ci sono dubbi che Israele invece continua ad appartenere a Dio a titolo particolare, continua cioè ad essere la sua personale proprietà inalienabile: la sua eredità. Questo vuol dire che a Israele rimane sia la superiorità e la priorità agli occhi di HaShem rispetto ad altre nazioni anche se le qualifiche essenziali di appartenenza, vengono estese in parte ai due grandi imperi, più che altro come simbolo di coloro sui quali HaShem doveva signoreggiare e come strumenti del suo volere.
    Alcuni commentatori poi, non escludono che l’epoca dei Tolomei, possa essere la data più probabile per la composizione di questo annuncio che fa pensare che un unione di pace tra Assiria ed Egitto,e che questa possa essere stata ispirata proprio dalle imprese di Alessandro Magno. Il fatto che gli ebrei vivessero con libertà di culto, sia in Egitto sia in Mesopotamia e che godessero stima da parte delle popolazioni locali, può aver fatto sorgere questa prospettiva di unificazione di tutti nella pace attorno al vero Dio.
    Così, l’ultimo redattore del libro di Isaia, ha pensato di inserire questa prospettiva due antichi brani che parlavano della debolezza militare e della crisi interna dell’Egitto. Probabilmente aveva visto in quelle antiche azioni divine, che tenevano a freno l’Egitto e lo indebolivano, il segno di un piano di salvezza più vasto. Infatti, mettendo in crisi continuamente l’Egitto, Dio aveva impedito al regno di Giuda, di cercare la sua salvezza mediante la guerra con l’Assiria e lo aveva così salvato sia dall’annientamento militare sia dalla pericolosa illusione di potersi salvare con le sue forze, invece di confidare nei tempi lunghi del piano di HaShem. La constatazione poi, che l’Assiria, pur essendo penetrata in Egitto, non lo aveva mai veramente conquistato, gli deve aver fatto pensare che era volere di Dio/HaShem e fosse così possibile una pace duratura tra questi due mondi: quello mesopotamico e quello egiziano. Io non escluderei dunque, che proprio l’impresa di Alessandro gli abbia suggerito l’ipotesi che Dio pensasse a una loro unione permanente, visto la pacifica presenza ebraica nei due territori, la loro vita fiorente, e la stima di cui godevano, e qualche conversione. ..Per questo a parere del redattore e in vista di questo, HaShem aveva sempre impedito che l’Egitto potesse raggiungere coesione e forza tali da spingerlo ad affrontare militarmente l’Assiria, impedendo per secoli che la guerra risolvesse il conflitto, a favore di uno dei due imperi, e preparando le condizioni per una pace durevole.

    Conclusioni: a mio parere non crolla miseramente un bel niente come hai scritto, e che piaccia o meno, Israele in modo esclusivo, è e rimarrà per sempre il “popolo eletto” unico incaricato da Dio per essere portatore di benedizioni tra i popoli delle nazioni. Buona Pasqua!

    1. Cara Antonella, gran parte di quanto hai riportato è tratto da un articolo pubblicato sul sito di Romeo Cavedo (un sacerdote cattolico. Da te non me lo aspettavo). Ti chiedo di riportare sempre la fonte quando citi un commento altrui.
      Comunque, a parte supposizioni sull’origine del testo (autore, redattore, modofiche successive), che sinceramente sono pure congetture (il testo che abbiamo è unico e integro, quindi analizziamo quello senza suppore rimaneggiamenti vari), tutto il resto è condivisibile e non contraddice in alcun modo quanto ho scritto nel mio articolo.

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